Articoli di Giovanni Papini

1898


Cavallotti e la Grecia
Pubblicato in: La marcia di Leonida, numero unico venduto dagli studenti fiorentini a favore della sottoscrizione pel monumento a Felice Cavallotti, pp. 3-4
Data: primavera del 1898
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Uno degli amori di Cavallotti, e che in tanto diluviar di necrologie di panegirici e di commemorazioni, parea a me non sia stato o appena rilevato, e quello ch'egli portava, adeentissimo e immenso, all'antica Grecia.
   In lui però quest'amore non era sterile imitazione delle esterinità o predilezione artificiosa, come purtroppo accade oggi di qualche esteta — superuomo, - decadente - simbolista, ma sincera e forte tendenza che aveva la sua ragione nell'intimo della sua costituzione intelletuale e morale.
   In lui c'era, più che del latino, del greco: nell'agilità del suo spirito si che come acutamente osservò il Bovio «ideare, immaginare, dire, muoversi tutto era rapido in lui» nel mirabile equilibrio fra pensiero e azione sempre avvicendantesi, rara prerogativa fra gli uomini della nostra gente: - nel puro idealismo che lo spinse alla famosa crociata contro realisti e veristi e che contribuii certo alla sua ammirazione per i Greci, popolo per eccellenza idealista se altri mai ve ne fù.
   E grazie a questo suo carattere egli comprese, come pochi in Italia, l'intima essenza del genio ellenico, del suo mondo divino e mitico, luminoso e radiante, del suo mondo umano, generoso e ribelle.
   Di lui si sarebbe potuto dire in parte quel che in Francia fu detto di Andrea Chénier «Un grec ancien éecrivantt en français» ma Cavallotti figlio del secolo XIX fu essenzialmente diverso come uomo dallo Chénier, figlio del XVIII. Questi, più dolce e rassegnato si contentava di fare.
   «Sur des pensers nouveaux....... des rers antiques» e condotto alla ghigliottina non sapeva che dire, indicando la fronte «....... et pourtant j'avais quelque chose là»
   Ma Cavallotti non si piacque di idilli e d'elegie, ne si contentò dei soli versi, compresi e' letti da pochi, ma sulla scena, dinanzi al popolo, trasportò la vita greca e la nostra: al pensiero che illumina e guida fece sempre seguire l'azione che compie ed afferma, e se il fato avesse voluto ch'egli fosse stato condotto al patibolo invece di un mesto rimpianto egli avrebbe lanciato contro i carnefici e il popolo annuente uno di quegli impetuosi fiotti di eloquenza com'egli solo sapeva fare sgorgare.
   Quel ch'è da notarsi si è ch'egli non fu filellenio nel senso moderno della parola ne, ch'io sappia, della Grecia moderna parlò o cantò mai. Del suo silenzio non possiam fargli colpa che di troppo è inferiore la nuova Grecia alla vecchia - (l"ultima guerra informi) né la fugace epopea di Botzaris, di Canaris e di Odisseo valse ad eguagliare i gloriosi trionfi di Maratona e di Salomina, o a rinnovar gli splendori del secolo di Pericle.
   La vecchia Ellena soltanto lo attrasse e lo sedusse e nella vita


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di essa pienamente si compenetrò e con lunghi o severi studi e con la geniale intuizione di cui Natura l'aveva dotato.
   Della Grecia egli seppe così perfettamente la lingua da potere in essa cantare sull'arie delle nostre canzoni popolari; — dal greco tradusse magistralmente, come meglio altri non seppe, gl'ispirati inni del vate di Afidne, di Tirteo, a cui nella baldanza e nel vigore rassomigliò; — sulla vita, dei Greci tessè i suoi più celebrati componimenti drammatici: l'Alcibiade, i Messeni, la Sposa di Menecle, Nicarete, Agatodemon ed in essi non pose in iscena, come nelle classiche tragedie di Corneille di Racine, di Crébillon, di Voltaire, uomini con le idee, gli affetti e i pregiudizi dei tempi del poeta, in greche vesti, ma veri Greci quali gli storici, i poeti e i filosofi li rivelano a noi.
   E greco fu l'eroe eh'egli prescelse a protagonista della più ispirata forse delle sue liriche politiche (La marcia di Leonida) storia si della civiltà che delle lettere della Grecia è gran part, delle Anticaglie.
   E alla morte dell'uomo che tanto amò e si profondamente comprese la vecchia Grecia, ben fece l'Assemblea della nuova a inviare un saluto e un rimpianto benché lieve tributo ad amore si immenso.


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